Thursday, September 26, 2013

Il Cappotto della Macellaia

Oggi voglio presentare il libro "Il Cappotto della Macellaia" di Lilia Carlota Lorenzo.

Sinossi: Cosa ha visto il bambino della sarta nella cucina dell'impudica Solimana, che quando la trova scappa terrorizzato? Perché lei attira gli uomini del paese a casa sua e spaventa sua sorella ritardata con la madre morta?
Accidia, superbia, gola, invidia, lussuria… cinque dei sette peccati capitali.
Sei comandamenti infranti… troppo per un paese di otto isolati e 207 abitanti.
Il Cappotto della Macellaia

Presentazione dei personaggi

Solimana e Marcantonia (una bellissima, l'altra sgraziata e con la mentalità di una bambina)
Quando alle sette del mattino il signor Andreani stava portando la colazione a sua moglie, si era svegliata la signorina Solimana, di anni quarantacinque – ne dimostrava dieci di meno – bellezza fuori del comune, peso, altezza e misure giuste.
“Dai Marcantonia, svegliati che è ora” disse alla sorella, che dormiva in un letto singolo accanto al suo bel lettone matrimoniale.
“Ho sonno... ”.
“Dai. Alzati!”.
“Fa freddo... ”.
“Se non facesse freddo non ti sveglierei per accendere la cucina. Dai, muoviti!”.
Le sorelle Paganini, i cui nomi bizzarri erano frutto dell’amore smodato per la storia antica che aveva avuto in vita il defunto signor Paganini, gestivano la merceria del paese. Solo articoli di ottima qualità. Be’, del negozio se ne occupava soltanto Solimana. Marca Antonia, detta Marcantonia per facilitare la pronuncia, faceva quel che poteva in casa. Marcantonia, di anni trentotto, zitella come sua sorella, corpo informe, sguardo bovino e capelli radi, si alzò controvoglia e rimase seduta sulla sponda del letto.
“Ti vuoi muovere! Sì o no?!”.
Marcantonia si mise la ciabatta destra nel piede sinistro, la ciabatta sinistra nel piede destro. Si alzò e cadde per terra.
“Maledizione! Non è vita questa” si lamentò Solimana. Marcantonia era la sua croce. Portarsi dietro una minorata non era facile. Lasciò contrariata le lenzuola calde, aiutò sua sorella ad alzarsi e tornò a letto. “Accendi la cucina e metti l’acqua a scaldare che devo farmi il bagno”. S’infilò di nuovo fra le lenzuola, prese il Para Ti che era sul comodino. Iniziò a sfogliarlo. Aveva visto un modellino che le piaceva. Voleva mostrarlo alla sarta. Era una ladra, ma l’unica decente. Con quello scansafatiche di marito per forza doveva aumentare i prezzi. Le venne in mente quello stupido bambino che aveva per figlio. Quando lo trovava per strada, scappava terrorizzato. Da quando era capitato quello, non veniva più nel negozio. Su quel fronte poteva stare tranquilla. Sì, spaventarlo ogni tanto non era mai di troppo.

La signora Fernández (donna insignificante e insoddisfatta della sua vita)
La signora Fernández – nata Tomasetto – di anni quarantatré, altezza un metro e cinquantotto, piuttosto insignificante e insoddisfatta della sua vita, si era alzata come tutte le mattine, alle sei meno un quarto. Era ancora buio. Soffiava un vento gelido che tagliava la faccia. Nella ciotola del cane, l’acqua aveva formato una sottile lastra di ghiaccio. Oggi doveva sbrigarsi. Dopo pranzo sarebbe venuta la macellaia – era la maestra, ma in paese tutti la chiamavano la macellaia – con quel cesso di sua figlia a provarsi il cappotto. Era la terza prova. A quella non andava mai bene niente. E le cose non andavano bene perché fra una prova e l’altra, quel bidone di sua figlia continuava a ingrassare. Così, monta smonta, quel maledetto cappotto non sarebbe mai finito. Quella credeva di essere chissà chi perché era la direttrice della scuola. Direttrice, segretaria e maestra. Per forza, era l’unica. Chi veniva in un posto simile? Per carità, lei sarebbe morta se avesse dovuto lasciarlo, ma alla gente di fuori non la porti manco a rimorchio... La vita non era giusta. Non era giusto che quella serpe avesse un marito coi fiocchi: bello, bravo, di compagnia e chissà che uomo a letto. In più lavoratore, non come quel buono a nulla che si era trovata lei per marito vabbè lasciamo stare
La macellaia voleva assottigliare la figura di sua figlia che la metta per terra e le faccia passare un panzer sopra così la assottiglia per sempre, con quelle due tette da mucca in allattamento cosa vuole assottigliare?

Pagnottina (la figlia ingorda della macellaia)
La signora Andreani diede un profondo sospiro, poi guardò sua figlia, chiamata affettuosamente Pagnottina dal padre, di anni diciannove, chili ottanta – ma potevano aumentare – altezza un metro sessantaquattro e sei brufoli sulla faccia, due dei quali appena spuntati. Stravaccata sul sofà, Pagnottina stava mangiando un pezzo di torta ricolma di panna. Era stato suo marito a comprare la torta, come se quella ne avesse bisogno. L’aveva nascosta in fondo alla ghiacciaia, ma ormai non c’era posto dove sua figlia non arrivasse. “Mangia mangia così il marito te lo trovi su Marte”.
“Se voglio il marito, ce l’ho già”.
Il signor Andreani rimase con il piatto a mezz’aria: “E chi sarebbe questo futuro marito?” le chiese pensando subito al garzone.
“Segreto”.
“Cara, glielo puoi chiedere tu, visto che in questa casa ormai non conto più niente?”.
“Ma cosa vuoi che abbia! In ogni caso chiunque fosse andrebbe bene”.

La vedova Manchú (bizzarra telefonista che non si fa vedere da nessuno)
Tornando indietro con l’orologio di qualche ora, per la precisione quando la signorina Solimana si era svegliata e il signor Andreani portava la colazione a sua moglie, la vedova Manchú, di anni cinquantaquattro, chili quarantotto, e felicemente impiegata nell’azienda telefonica, si apprestava a fare colazione indossando la sua vestaglia blu elettrico che adorava.
…La vedova Manchú era sana come un pesce, aveva un appetito invidiabile, mangiava come una lima nuova, non era mai andata dal medico né pensava di andarci. Ringraziava Dio – non poteva soffrire la Madonna – per averle concesso una vita così bella. Solo gli chiedeva di fargliela durare più a lungo possibile. Della sua vita non avrebbe cambiato niente, voleva solo continuare a lavorare senza muoversi da casa. Tutto il giorno in vestaglia senza farsi vedere da nessuno. Della gente le interessava solo ascoltare le loro conversazioni.

Pepincito (il bambino svarinto della sarta, che ha paura della bella Solimana)
Quattro del pomeriggio.
Pepincito, di anni quasi undici, piccolo e di sguardo smarrito, come tutti i pomeriggi a quell’ora, stava andando dalla vedova Manchú a farle la spesa.
il papà non ha voluto portarmi a caccia è cattivo tutti sono cattivi meno la vedova Manchú anche la mamma è cattiva mi tratta come se fossi ancora un bambino piccolo non sono più un bambino piccolo fra due mesi ne faccio undici d’anni tre meno di Reinoso che è più alto del babbo e mette paura persino alla maestra la maestra un’altra che non mi vuole bene dice che sono troppo piccolo per la mia età e non si riferisce solo al corpo pensa che sia un po’ scemo me ne rendo conto eccome un po’ ha ragione a lamentarsi perché la scuola mi fa schifo schifo da vomitare solo a vedere la lavagna e i quaderni mi piacciono solo per disegnare fare disegni come quelli dei fumetti mi piace da morire e poi colorare i disegni però la mamma dice che i quaderni non si devono sprecare per disegnare che sono per scrivere e fare i conti il babbo le dà ragione dice che disegnare non serve a niente tutto deve servire a qualcosa se non serve non si deve fare.

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